I porcospini e il Coronavirus
di Bernardino Meloni - psicologo psicoterapeuta
A fine febbraio 2020, circa due mesi fa, è cambiata la nostra vita. In Italia si è concretizzata la paura, fino a quel momento ritenuta, erroneamente, lontana. Il Coronavirus ha occupato rapidamente i nostri pensieri, passando presto da argomento ansiogeno ad angosciante. Le scuole sono state chiuse e poco dopo le libertà di movimento sono state progressivamente limitate. Il Governo, per cercare di far fronte all’inaudita potenza con la quale il virus si è abbattuto sull’Italia, ha deciso la strada dell’isolamento sociale.
Da molte settimane viviamo in casa, con la possibilità di uscire solo per comprovate esigenze lavorative, per urgenze, per situazioni di necessità e per motivi di salute. Essendo vietati gli assembramenti, non è possibile trovarsi con parenti, amici e colleghi.
Si vive in casa, con la propria famiglia o da soli, un “tempo sospeso”. Dopo un periodo tanto prolungato di isolamento, ciascuno di noi deve rivedere il proprio modo di stare in relazione con gli altri.
Da quando si parla di “Fase due”, la fase che prevede l’allentamento delle misure adottate dal Governo, ci interroghiamo: “Come ci riavvicineremo agli altri? Potremo fidarci? Non sarà troppo presto?”. Ci poniamo domande sul tema della distanza e vicinanza.
Recentemente, sollecitato da questi argomenti, mi è tornata in mente la “Favola dei porcospini” di Arthur Schopenhauer, che riporto di seguito:
“Una compagnia di porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di riscaldarsi li portò di nuovo a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro fra due mali, finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione […] Con essa il bisogno del calore reciproco viene soddisfatto in modo incompleto, in compenso però non si soffre delle spine altrui”.
Tutti noi desidereremmo tornare ad avvicinarci agli altri, come facevamo solo due mesi fa. Ma oggi siamo spaventati, l’altro può essere malato senza esserne consapevole e contagiarci. Il Coronavirus intacca pesantemente le nostre relazioni non solo a causa delle restrizioni previste dal Governo e quindi per l’impossibilità di incontrarci e di stare insieme. Questo virus recide anche la possibilità di stare vicino a chi amiamo nel momento in cui ne avrebbe massimamente bisogno. Uno degli aspetti più angoscianti di questa malattia è che non si può seguire e assistere un nostro caro che si ammala; tutti abbiamo sentito che chi ha perso un proprio congiunto, non ha avuto la possibilità di scambiare con lui nemmeno un ultimo saluto.
Abbiamo molti dubbi anche in merito a persone che non conosciamo: l’altro che incontro nel negozio o per la strada. Dopo molte settimane di isolamento sociale, tornare ad uscire da casa obbligherà ciascuno di noi a fare i conti con la fiducia che riponiamo nell’altro.
Una mia paziente, persona estremamente acuta e sensibile, pochi giorni fa mi ha raccontato, con fatica e sofferenza, il senso di disorientamento percepito alla prima uscita di casa per effettuare alcuni piccoli acquisti: “Sono entrata nel primo negozio e il proprietario non aveva la mascherina. Mi sono infastidita subito…pensavo – Adesso mi parlerà senza indossarla? Nel secondo negozio invece sono stata infastidita dal contrario, dalle cautele che ho percepito come eccessive, la proprietaria dell’esercizio era molto distante”. Questo per dire che, nelle diverse situazioni che vivremo, saremo molto sensibili al nostro modo di stare in relazione con l’altro e osserveremo il modo che l’altro adotterà nella relazione con noi.
Nella favola sopra riportata, i porcospini procedono per “prove ed errori”: tentano alcuni avvicinamenti ma, pungendosi e percependo dolore, si allontanano, arrivando a sentire freddo. Infine trovano, come soluzione, quella di individuare “una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione. […] Con essa il bisogno di calore reciproco viene soddisfatto in modo incompleto, in compenso però non si soffre delle spine altrui”.
Credo che oggi ci troviamo nella condizione dei porcospini di Schopenhauer: cerchiamo la giusta misura. Una misura che risponda al bisogno di vicinanza che tenga conto della paura che in questi mesi di isolamento sociale si è rinforzata.
Sono un terapeuta familiare, mi occupo di raccogliere la storia delle persone che incontro in studio e, in particolare, mi interesso della storia delle relazioni che i pazienti mi consegnano, poiché da tale storia può venire una maggiore conoscenza di sé e quindi possibilità di cambiamento.
Seguendo la teoria dell’Attaccamento (John Bowlby) sappiamo che tutti abbiamo bisogno di relazioni con persone attente a noi, che ci curino e sostengano per l’intero corso della nostra esistenza. Questo è un bisogno irrinunciabile, al quale tendiamo tutti.
E’ proprio la soddisfazione di questo bisogno che viene sfidata dal Coronavirus. Dovremo imparare nuovamente ad avere fiducia. Nella “Fase due”, e probabilmente anche dopo, ci muoveremo verso l’altro come i porcospini di Schopenhauer, combattuti tra il desiderio di vicinanza e il timore.
Non dobbiamo avere paura di vivere una fase “da porcospini”: piuttosto, accogliamo e ascoltiamo quello che succede dentro di noi. Avremo bisogno di avvicinarci all’altro con gradualità, apprendere nuovamente che l’altro non è solo un potenziale pericolo, un paziente asintomatico, inconsapevolmente minaccioso per noi. Abbiamo bisogno dell’Altro e dovremo imparare a non vederlo nell’ottica riduttiva disegnata dal virus.
Usiamo questo tempo per ascoltarci con indulgenza, accogliendo le piccole e grandi delusioni alle prime uscite da casa ma anche le nostre speranze. Parliamo di ciò che proviamo a chi vogliamo bene: siamo tutti sulla stessa barca, daremo a noi stessi ma anche agli altri la possibilità di aprirsi.
Luigi Cancrini, noto psichiatra e terapeuta sistemico, in un articolo pubblicato su Repubblica il 29/3/2020, afferma: “Questo è il tempo della cura, non dell’odio. Un tempo di ascolto e di dolore condiviso che fa bene a tutti” e ancora “Nel silenzio si trasmettono le emozioni, il rispetto, le perplessità, i dubbi, anche i limiti della comunicazione attraverso le parole. In questo momento ciascuno di noi, nella propria casa, può sperimentare una costrizione al silenzio che potrebbe riportarci a un rapporto migliore con noi stessi, e con gli altri”.
Pensiamo all’isolamento sociale come a un tempo utile, necessario, ma non “normale”. Dobbiamo sforzarci di pensare all’isolamento sociale come a una misura eccezionale.
Allora, con tempo, pazienza e coraggio, riusciremo a tornare vicini come sapevamo fare prima. Forse, meglio di prima. Allora davvero avremo sconfitto il Coronavirus e curato molte delle cicatrici che oggi sentiamo dentro di noi.
BIBLIOGRAFIA
BLANDINO G. (2009), Psicologia come funzione della mente, UTET, Torino.
BOWLBY J. (1988), Una base sicura, Raffaello Cortina Editore, Milano (1989).
HOLMES J. (2001), Psicoterapia per una base sicura, Raffaello Cortina Editore, Milano (2004).
SCHOPENHAUER A. (1851), Parerga e Paralipomena, Tr. It. Adelphi, Milano (1983).