Fonte immagine gliamantideilibri.it

Sepulveda, una riflessione

di GERMANA CAVALLINI - PSICOLOGA PSICOTERAPEUTA

E’ morto Sepùlveda, ma come….non è possibile. Ma si, quando la morte colpisce un personaggio famoso, allora ti rendi conto che nessuno è indenne di default. Lo avevo conosciuto una ventina di anni fa leggendo, su consiglio di un’amica, uno dei suoi primi romanzi ‘Il mondo alla fine del mondo’ In cui il suo impegno verso la natura si declinava nella protezione delle balene che doppiavano Capo Horn. Una vera passione, e poi gli altri, ‘Un nome da torero’, ‘Le rose di Atacama’ ‘Jacarè’ e quindi ‘La gabbanella e il gatto…’ che lo ha reso famoso al grande pubblico. Beh..sarà stato vecchio, si sa, questo virus falcidia soprattutto le generazioni avanti con gli anni, ma no..1949, solo 10 anni più di me, ma allora il rischio non è poi così lontano.

E la mente segue i suoi pensieri, di virus, di morte, di vita.

Ogni giorno la conta di quelli che non ce l’hanno fatta, che stillicidio, numeri senza nome, certo non tutti sono Sepùlveda, ma sono uomini e donne con legami, affetti, vite e parenti che lasciano tremendamente orfani, nel modo peggiore, semplicemente scomparendo senza un sorriso da scambiare, senza un saluto, una preghiera. Bare, in fila, identiche senza fiori, né saluti dei propri cari. Credo che una delle immagini peggiori che tutti noi ricorderemo è la processione dei camion dell’esercito cariche di feretri che non si sapeva più dove mettere.

Certo la morte è morte, quando uno non c’è più che differenza fa? Per chi se ne va nessuna, ma per chi resta la differenza è grande. A volte quando la fine arriva in modo tragico ci capita di sentire che i parenti più prossimi reclamano le spoglie del defunto e il pensiero dell’uomo moderno e razionale fa dire che in fondo non c’è più nulla da fare per quella salma. Ma allora perché è così importante averla? Per poterla piangere, ecco. Per potersi dare il tempo di metabolizzare un evento che tanto fa parte della vita stessa, quanto terrorizza e produce dolore nel momento della separazione. I riti funebri appartengono all’uomo fin dall’età della pietra, l’elaborazione della separazione definitiva che la morte porta ha bisogno di accompagnamento nel dolore, di riti. Nelle piramidi i tesori sepolti con i faraoni defunti erano il viatico che li ammetteva nell’Aldila, e c’erano cibo e suppellettili, la continuazione di una vita non più condivisa nel mondo dei vivi ma che continuava, almeno nell’idea di coloro che restavano e li avevano amati. L’uomo ha bisogno, aldilà della sua fede religiosa, di credere che tutto non finisca nel nulla, almeno nel momento in cui un proprio caro si spegne. La morte portata dal virus ha spazzato via tutto questo e coloro che sono rimasti soli vivono l’abbandono in modo decisamente più traumatico e doloroso, l’elaborazione del loro lutto sarà inevitabilmente più lunga e faticosa.

Umberto Galimberti sostiene che l’onnipotenza narcisistica del mondo occidentale ha spazzato via l’idea della morte e che, per allontanare il suo spettro, si tende a negare il bisogno di condividere il lutto per poterlo elaborare

Mai come in questo tempo sospeso invece si è sentito il bisogno di condividere, soprattutto in presenza della morte. La situazione impone la distanza, l’isolamento, non ci sono funerali. Viene così a mancare tutto l’apporto consolatorio che la condivisione del dolore richiede e che aiuta nel momento della dipartita. Tutti abbiamo esperienza di una morte a noi vicina che ha potuto essere condivisa. Nei giorni prima del funerale parenti e amici vengono a porgere le condoglianze, una bella parola che nel suo significato porte il senso del ‘soffrire con’, dell’essere presenza umana calda e supportiva nel dolore. C’è chi ricorda un aneddoto, un abbraccio, un aiuto che il nostro caro defunto ha dato quando era in vita e questo ce lo fa sentire vicino, ancora un po’, vivo nelle sue opere e nei ricordi che gli altri hanno di lui. E dopo il funerale, la gente si ferma, e ti abbraccia e ti bacia e ti saluta facendoti sentire la sua vicinanza. Il tuo caro non torna, ma il calore e l’affetto degli altri ti riscalda un po’ il cuore.

Ecco, il virus ci ha tolto anche questo, la persona che amavano, oppure che conoscevamo anche solamente, è andata in ospedale dicendo ‘starò bene, tornerò presto’ e all’improvviso è sparita nel nulla.

Un vuoto enorme, che certamente il tempo lenirà, ma che non conterrà mail il valore empatico dell’affetto condiviso….

Maledetto virus…

Germana Cavallini